Più di settecentomila famiglie gemevano in quei giorni o sconsolate o tementi; in quanto all'esercito d'Italia, sapevasi come fosse ognora avvolto in tutti i pericoli d'una disastrosa ritirata. Tutta Milano era in lutto; disotto al lutto scoppiavano gli odj e le ire in addietro compresse. I lodatori del nome napoleonico tacevano per paura; i giusti estimatori, che non si lasciavan vincere nemmeno dalla mutata fortuna, si chiudevano in se stessi, per non insultare alle piangenti famiglie; e tutti, stanchi delle voci vaghe e generali che accrescevano le proporzioni della sventura, col non definirla, aspettavano notizie più particolari, più esatte; aspettavano lettere di qualche attore del sanguinoso dramma; aspettavano con impazienza carriaggi di feriti. Il primo di gennajo del 1813 verso sera si sparse finalmente la voce che era giunto a Milano, insieme collo scudiere Alemagna, il notissimo corriere Barbisino, famosissimo allora per la sua robustezza fisica e per aver fatto più volte quasi d'un fiato il viaggio da Parigi a Milano. Durante la notte, il cortile dell'albergo dei Tre Re, dove il Barbisino alloggiava, fu per più ore gremito di gente che si rinnovava ogni minuto. Il corriere, mentre cenava, descriveva, raccontava, rispondeva a cento domande.
La tavola a cui esso sedeva, era tutt'all'ingiro circondata da una folla stipatissima di ascoltatori.
- Senti, Trasella (così parlava il corriere, e Trasella era il nome del maneggione dei Tre Re), giacchè l'ora è tarda, dovresti far chiudere l'osteria e mandar a casa tutta questa santa croce di gente, che con tanto freddo sta lì ad aspettare in corte.
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