Già è impossibile che io abbia potuto veder tutti i loro parenti e figliuoli che hanno militato in Russia... Bisogna dir loro che si preparino a non veder più nessuno. Di seicento o settecento mila uomini è molto se rivedranno le loro case da dieci a dodici mila giovani. Per duecento leghe continue io non ho visto che morti. Morti di freddo, di fame, di malattia. Chi è morto è morto, e non c'è rimedio. Io credo che, dal diluvio in poi, non sia mai successo un disastro così spaventoso. Il mio collega Brioschi è morto di freddo poco lontano da Vilna, e il corriere Rampini che viaggiava con lui ha dovuto di propria mano scavargli la fossa e seppellirlo. Bisogna averle viste e passate a cavallo quelle pianure sterminate di ghiaccio e di neve. Bisogna aver provato l'effetto di quelle solitudini immense, e di quel silenzio profondo e misterioso, che mi faceva credere d'esser fuori di questo mondo. Vi basti il dire che persin la vista dei cadaveri mi alleggeriva dallo spavento e mi faceva compagnia. Era per essi se m'accorgevo d'essere ancora a questo mondo.
- Ma, e Napoleone?... chiedeva un ascoltatore.
- E di tanto in tanto quell'orrido silenzio veniva rotto da scoppj violenti, i quali mi facevan credere che da lontano continuasse ancora la battaglia... E dite un po', che cosa era? Erano i tanti e tanti cavalli morti, che imputriditi e gonfiati e ingrossati come elefanti, crepavano per dar sfogo ai gas in fermentazione...
- Ma, e Napoleone? chiedeva per la seconda volta il solito ascoltatore.
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