L'Ospedal Maggiore e quello di S. Corona concorsero anch'essi, per mezzo degli amministratori, ispettori e giù giù fino agli infermieri, a quello scopo. Gli stessi preti in cura di anime nei due nosocomj si tassarono soldi quindici per ciascuno. L'impresario della Scala diede una serata a beneficio di S.M., e in quella sera tutti i virtuosi di canto e di ballo fecero una colletta, che trasmisero alla direzione del R. Teatro. Mad. Ribier, modista della viceregina, mandò al ministro la oblazione di franchi trecento. Ma, come dicemmo, se i Milanesi si distinsero per l'abbondanza delle elargizioni, nel tempo stesso se ne ricattavano con satire. Una mattina di gennajo molta folla s'accalcava per leggerne una, che a grandi caratteri era stata impastata sul portone di mezzo della Metropolitana. La satira era questa:
Milan l'è de vend:
In quaresma l'istrument.
General e uffizialHin tucc all'ospedal:
De soldaa ghe n'è pû;
Bonapart el cerca sù.
Questa era l'espressione comica del sentimento generale dei Milanesi, segnatamente della classe operaja e della gente minuta. Ma se l'espressione era comica, conteneva nella sostanza qualche cosa di terribilmente profetico, che potea dar da riflettere agli uomini serj. Il verso - Milan l'è de vend -, come un'effemeride astronomica, annunciava gli accidenti dell'anno successivo.
A queste satire in vernacolo, rappresentanti l'acume popolano che riassumeva il vero senz'odio e senza menzogna, facevano contrapposto altre satire che circolavano manoscritte e si leggevano ne' crocchj del teatro, nelle conversazioni, nei caffè; ed erano l'espressione delle ire e delle antipatie di qualche patrizio incarognito pel passato, di qualche letterato testardo, di qualche prete che aveva perduto la prebenda.
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