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      VI
     
      Lasciando questo incidente, e tornando al tema del precedente dialogo:
      - Domani andrò a Milano, proseguì il conte. L'umore d'una popolazione non si può conoscere davvero se non le si vive in mezzo. Vedrò e sentirò. Tutto per altro dipende dall'esito delle nuove battaglie; l'esito momentaneo, intendiamoci, perchè del finale mi tengo sicuro.
      - Se andate a Milano, fate di vedere il Milordino che fu con me testimonio della sfacciataggine del principe. Sentendo lui prima di parlargli di me, vedrete che alla pura verità non ho aggiunta nè levata una sillaba. Ed ora vorrei pregarvi di una cosa.
      - Che cosa?
      - Che la buona e brava signora contessa non debba avere nessun dispiacere per quello che vi ho riferito.
      - Siate tranquilla; io sono sicuro della sua innocenza. Io non le parlerò giammai di questa avventura. E voi, madama, dovete promettermi di non parlarne mai con nessuno. Il vostro silenzio vi sarà compensato... con usura... quando si tratteranno cose di ben più grave momento.
      - Ho taciuto tre anni, posso ben tacere tutto il resto della mia vita.
      - Mi annoja però che il Milordino siasi trovato con voi quella notte.
      - Esso è vostro amico, ed è nemico del vicerè. Quando io lo pregai di tacere, mi rispose che se si fosse risolto di parlare, non lo avrebbe fatto che con voi solo.
      Dopo queste parole, il conte Aquila, serio ma tranquillo in apparenza, si licenziò da madama Falchi.
      Abbiamo detto in apparenza; e in fatti quando fu solo passeggiò agitatissimo lungo la Senna. Il suo orgoglio non gli aveva permesso di dare alla Falchi lo spettacolo d'un marito geloso, furioso e tradito.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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