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      Il lettore non può immaginarsi l'avversione che, in generale, noi abbiamo per i mariti; essi sono i veri autocrati della vita intima, senza sindacato e senza equilibrio di poteri; è tanta la paura che abbiamo di loro, che abbiamo paura persino di noi stessi; giacchè il lettore deve sapere, e lo diciamo perchè si accorga che siamo in buona fede, che anche noi, sebbene senza vocazione, ci troviamo ascritti alla sterminata camorra di coloro che hanno rinunziato alla libertà, per il barbaro diletto d'impacciare l'altrui.
      Non è dunque ad immaginare come si respirò in casa Aquila durante la lontananza del conte; come la servitù sentì tutta la beatitudine dell'obbedienza volontaria che avea prestato a quell'angelo della contessa; come questa fosse lieta di trovarsi in mezzo a tanta gente che la servivano adorandola; come ella poi, trovandosi a tutto suo agio e libera dall'orrido incubo maritale, avesse già messo sulle guancie, fatte più piene, un lieve color di rosa, il quale era scomparso dal giorno che dal collegio passò nelle spire del suo serpente sacramentale, stato benedetto dal signor curato!
      Quando si pensa alla leggerezza crudele onde i genitori gettano le loro figliuole inesperte nelle mani del primo che capita, senza esaminare previamente il carattere intimo, senza conoscere le abitudini, spesso anzi non curando la pubblica fama che, se non sempre, qualche volta è un surrogato delle leggi impotenti: quando si pensa al numero sterminato di agonie tormentose e lunghissime subite da tante e tante infelici che i mariti hanno ammazzato in tutta pace, e persino nell'apparente e recitata bonomia delle pareti domestiche, e senza nessuna revisione legale; quasi si dura fatica a trovare indispensabile l'instituzione del matrimonio; e senza quasi, la coscienza spaventata si ribella ai codici invalsi.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





Aquila