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      Il nostro amico Giocondo Bruni erasi fatto guida al conte Aquila, al conte-milord, ed agli altri che costituivano il partito italico assoluto, per vedere la faccia di un conte, che il Bruni aveva conosciuto a Parigi come emissario austriaco.
      - È lui, assolutamente lui, disse il Bruni al conte Aquila, allorchè furono vicini a un tavolino da giuoco,
      - Quell'ometto là piccino?
      - Quello là appunto.
      - Con quella faccia da coniglio?
      - È una maschera naturale, che a lui serve benissimo.
      - Gli avete parlato voi qualche volta?
      - Non ho mai voluto mangiare di quella carne; però l'ho sentito a parlare molte volte, nè egli lo sa, nè mi conosce.
      - Che cosa credete voi che sia qui per fare?
      - Quello che faceva a Parigi: giuocare, perdere spesso, e mettersi al paretajo come la civetta, per attirare gli uccelli di brocca. Adesso giuoca, poi perderà. Scommetto che è già in perdita... Ecco qui, sentite, signor conte?...
      Questa interruzione derivò dalle parole di due astanti, i quali dicevano:
      - Ha un gran sangue freddo, colui... È già la terza volta che mette sul tappeto cento napoleoni d'oro; e al risolino continuo che fa si direbbe che è in guadagno.
      - Vedete se ho detto vero, signor conte?... ebbene, fra un'ora va a cena con tutti quelli a cui ha riempito le saccoccie; e là parla di politica; compera per un pezzo; poi vende e fa propaganda. Alla mattina, poi, credo che riferisca il risultato dell'opera sua e mandi la cacciagione a Metternich e a Bellegarde.
      - Converrebbe renderne avvertita l'autorità.
      - Converrebbe certo.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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