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      Il capitano di piazza salì allora nell'aula senatoria a presentare quella domanda al presidente Veneri, il quale subito accordò che il palazzo venisse custodito dalla guardia civica piuttosto che dalla truppa di linea. In questo frattempo il conte Durini, podestà di Milano, aveva spedito al presidente del Senato quella famosa dichiarazione, che venne firmata da più che 140 persone, nella quale si rappresentava al Senato stesso che «nelle straordinarie vicende in cui versava il paese, era necessario invocare straordinarj provvedimenti, e che però i sottoscritti credevano necessario, in coerenza dei principj della costituzione, che fossero convocati i collegi elettorali, nei quali solamente risiedeva la legittima rappresentanza della nazione.» La notizia di questo messaggio del podestà corse tosto tra la folla. Si dicevano i nomi dei primi che comparivano in quella lista, e fece senso che il general Pino fosse in testa a tutti.
      A questo punto, disceso il capitano Marini col permesso del presidente, la guardia civica scacciò bruscamente dai loro posti i soldati di linea, e strappò i fucili a quelli ch'erano alla porta immediata della sala della seduta. Avvenuto questo, come quando il temporale s'addensa ed è prossimo lo scroscio della gragnuola, corse un orribile fermento nella folla, che s'addensava sempre più e si stringeva presso alla porta del palazzo. Al di sopra del vasto mormorio della moltitudine si faceva sentire la voce tuonante del conte Aquila: - «Noi vogliamo la convocazione dei collegi elettorali; noi vogliamo che si richiami tosto la deputazione del Senato.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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