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      Nè alcun senatore ebbe a patir violenze nè offese, se non ai timpani delle orecchie, orribilmente percosse dai fischi estremi.
      Tutto adunque pareva che dovesse esser finito; ma il popolo, quando si è acceso, è come un ebbro: più si tenta di placarlo e più gli si dà ragione, e più s'infuria, peggio poi se c'è qualcuno che ad arte lo riaccenda.
      Il conte Aquila, appena irruppe nell'aula senatoria, in capo alla folla ululante, si avventò percuotendo col pomo di uno scudiscio la testa del busto in gesso di Beauharnais, che rotolò giù per i gradini dell'impalcamento dov'era il tavolone presidenziale; e mentre altri, salendo sul tavolone stesso, strappò dalla parete da cui pendeva e trapassò con un colpo d'ombrello il ritratto ad olio di Napoleone dipinto dall'Appiani, egli stette a contemplare quella testa divelta dal busto, la fracassò d'un colpo di piede, e disse: Or regna e bacia le donne altrui. Il Bruni eragli al fianco e udì quelle parole, e supplicandolo di rimettersi in calma, quegli invece, più esasperato che mai, afferrò alcune suppellettili dorate e le scagliò fuori delle finestre. Il popolo lo imitò. Sedie, tavole, specchi, stufe, orologi, perfin le vetriere, perfin le porte, tutto fu manomesso, fracassato, gettato nella strada sottoposta.
      Nè bastò ancora; il furore aveva messo la benda a tutti; i più scellerati approfittarono di quella cecità ubbriaca. Gli emissarj austriaci, che non pochi erano già in Milano, ghignavano che gli uomini dell'indipendenza lavorassero così efficacemente a pro dell'Austria.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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