L'a-solo fu suonato a meraviglia, perfino a compiacersene lo stesso maestro Majno; se non che, proprio nel punto che si era alle ultime cadenze delle variazioni, dal vicino vicolo Porlezza una schiera di dodici o quattordici giovinotti irruppe nella via, si rovesciò come una tempesta maggenga sulla piazzetta, improvvisando una cadenza di legnate formidabili, dedicate al merito insigne di quei filarmonici notturni.
Il tenore Bonoldi, che era alto, nerboruto e prepotente, e che, figlio di un vetturale di Piacenza, era avvezzo alle baruffe fin da ragazzo, non si lasciò smarrire, e lavorò di rimando colla sua canna d'India; la sua canna d'India fedele ch'egli avea sempre seco per tenere in soggezione la critica. Il suo esempio animò tutti. Il conte Emilio armeggiò benissimo con una sedia di bulgaro. Il Baroggi con un leggìo. I più offesi furono i suonatori, che erano seduti; e in modo speciale se ne risentì la schiena del professore Majno; perchè l'amore sviscerato, del genere dell'amor materno, che egli portava alla sua viola di Stradivari, lo rese dimentico di sè stesso; onde, incurvatosi su di essa e strettasela al seno, non pensò più che la schiena rimaneva affatto senza difesa e tutta esposta alle percosse nemiche. Tutto questo parapiglia avvenne in un minuto. Strillavano le donne dai poggiuoli e dalle finestre; piangevano i ragazzi che si erano alzati colle mamme; tumultuavano e si scompaginavano e fuggivano molti della folla raccolta in piazza.
Ma ad un tratto gridò uno della schiera degli assalitori: Fermi tutti!
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