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      Rincresceva però al Galantino che la fortuna del Baroggi dovesse rimanere così inevitabilmente rovinata, e tanto più che delle ricchezze del conte V..., il marito di donna Clelia, per le dilapidazioni continue e forsennate del marito di Ada, non era rimasto quasi più nulla. Come il lettore deve ricordarsi, il Galantino aveva protetto il Baroggi, capo delle guardie di finanza, ed erasi preso cura del figlio di lui, e in ogni occasione aveva dato a divedere di desiderare il loro vantaggio: al punto che, per rimediare al fatto del testamento, era una volta venuto in pensiero di lasciare a loro tutta la propria sostanza. Ma, per una delle più consuete combinazioni della vita, a Parma conobbe una donna e da questa ebbe un figlio, il quale, com'è naturale, gli fece cambiar proposito.
      E fu precisamente in quella occasione che, almanaccando dì e notte, non sapendo in che altro modo giovare al Baroggi, venne nella determinazione di spedire il testamento olografo al tribunale. La natura del Galantino non era al tutto perversa; egli non aveva fatto e non faceva il male per il male. L'arte per l'arte veniva detestata da lui. Egli era stato uno scellerato, ma per un fine, ma con logica. La sua individualità lo aveva portato ad amar l'eleganza, a volere la ricchezza e il fasto; per raggiungere questo scopo avrebbe sacrificato tutto il parentado, compreso il padre e la madre; ma appena l'ebbe toccato, e con quella solidità da non fargli più temere un capitombolo, egli diventò, quasi potrebbe dirsi, un buon uomo: generoso, caritatevole, affabile, cortese.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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