Era ambiziosissimo, e desiderava che il mondo si occupasse di lui. Parlava di tutto con sentenze recise. Radunava intorno a sè alquante notabilità del terzo e del quarto ordine. Come dotto, l'oblato bibliotecario dell'Ambrosiana; come bibliofilo, il librajo Brizzolara; come direttore di coscienze, monsignore Opizzoni; come letterato, Francesco Pezzi, estensore della Gazzetta di Milano; per la parte poi che potevano avere nella cosa pubblica e nella milizia accoglieva nel proprio palchetto il generale Bubna e il barone Gehausen.
La conversazione enciclopedica quasi quotidianamente ei l'apriva in propria casa dopo il mezzodì, e la chiudeva verso le ore tre, per uscire in carrozza o a piedi, onde dar aria al polmone, mettere in movimento il sangue, e preparare lo stomaco a trovare eccellente l'opera del cuoco.
Nel giorno in cui ci troviamo, che è il successivo alla tragi-comica serenata di S. Pietro e Lino, la conversazione verteva su cose d'ordine privato, e il marchese, continuando un discorso coll'Opizzoni, veniva alle conclusioni seguenti:
- Insomma, caro monsignore, giacchè ella è l'uomo della religione e della carità, è necessario si pigli il fastidio di finir questa faccenda. Mio cugino è stato quel ch'è stato; pur troppo non è possibile dimenticarsene. Ma ella m'insegna che il futuro fa spesso l'emenda del passato. Perchè mio cugino metta la testa a partito e diventi un uomo come tutti gli altri, non c'è rimedio migliore che questo matrimonio. Il mondo potrà dire che c'è la figlia dell'ultimo letto, e con un nuovo matrimonio si verrebbe a danneggiare la sua condizione pecuniaria.
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