Il maestro che mi sentì a sgridare di ciò i parenti, ebbe un dì il coraggio d'apostrofarmi con ingiurie... Io già gli ho perdonato tutto... è il mio dovere, è questa una condizione del nostro carattere e del nostro istituto... ma da quel giorno tra me e lui s'impegnò una lotta, una lotta terribile, una di quelle che, se non fosse superbia il dirlo, e tanto più ad un ministro di Dio meschino e indegnissimo come io sono, si vedono impegnarsi nelle sacre istorie tra Satanasso e san Michele; ma voglio vedere chi la vincerà, se un monsignore del Duomo, o un suonatore di organo che, di sopramercato, scrive la musica per i balli di Viganò.
Presente a questo dialogo trovavasi Francesco Pezzi, il proprietario ed estensore della Gazzetta di Milano, e il critico teatrale più in voga e più temuto e, in gran parte, più indipendente che allora si conoscesse. Avendo esso officiato qualche tempo addietro il marchese F..., perchè lo raccomandasse al Governatore di Milano, quando appunto la Gazzetta era stata messa al concorso, il marchese ammise in seguito il giornalista alla propria intimità, per averne ammirata la coltura e lo spirito, e più di tutto, per essere stato preso dalla di lui cortigianeria, molto lusingatrice del suo amor proprio letterario e scientifico. In quanto al Pezzi, se adoperò tutti i mezzi e tutte le seduzioni per rendersi sempre più accetto al facoltoso ed autorevole marchese, la cosa era naturale. La Gazzetta gli rendeva da trenta a quarantamila lire all'anno, ed egli aveva bisogno di tutti coloro che lo tenessero sempre raccomandato presso la presidenza del governo.
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