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      Si leggeva il Carmagnola,
      Gran tragedia al mondo sola:
      Chi dormia, chi sbadigliava,
      Uno solo lagrimava;
      Piango, disse quel buon sere,
      Per quel prode cavaliere,
      Che, da quanto or qui si sente,
      Messo è a morte malamente.
     
      - È questo appunto l'epigramma che mi fu detto...
      - Essere mio... Quello di Bertolotti non lo conosco.
      Il Pezzi tacque.
      - Eppure alcuni pretendono, proseguiva don Alberico, che il signor Alessandro Manzoni, per questo sistema di poesia tragica ad uso oppio, sia destinato a diventare il Dante Alighieri del nostro secolo... Povero secolo, se il pronostico andasse bene!...
      - Di questa tragedia, entrò allora a parlare il marchese, rivolgendosi segnatamente al Pezzi, ieri sera ebbi a discorrerne lungamente nel palchetto del governatore.
      - Del governatore...?
      - Del governatore, sì, che ha voluto leggerla da capo a fondo, perchè qualcuno gli aveva sussurrato all'orecchio, contenere dei passi pericolosi e offensivi al governo. Or sapete che cosa mi disse sua eccellenza?... L'ho trovata tanto cattiva, mi disse, che sebbene ci sia da notar qualche cosa sulla maniera di pensare dell'autore, pure non ho creduto di dare alcun rimprovero al censore che gli ha accordato l'Admittitur. È una produzione nata morta; a proibirla si correva pericolo di farla vivere, anche in mancanza di fiato.
      Così nell'anno 1820 venne accolto e giudicato tanto dall'autorità censoria quanto dalla critica superficiale e sistematica quel lavoro letterario, che piantava in Italia le prime basi di una letteratura nuova, la quale, ripudiando le leggi del convenzionalismo arbitrario, si proponeva di non essere fedele che alla ragione e alla verità; ma per tal modo fu lasciata uscire in pubblico, col famoso coro della battaglia di Maclodio, la lirica più alta, più indipendente, più rivoluzionaria che mai abbia avuta l'Italia.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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