Quel coro fu la prima protesta scritta e divulgata, sotto gli stessi occhi dell'autorità, contro il dominio straniero. Da quella poesia, per la prima volta, spiccò il volo il pensiero emancipatore, che non si fermò più. Una fatalità provvidenziale avea decretato che la stolidezza di un governatore e l'ignoranza di un censore proteggessero quel volo inaspettato e incompreso.
Ma questa breve discussione letteraria fu troncata di colpo dal solito domestico, che entrò a dire al marchese:
- C'è un signore che ha bisogno di parlarle.
- E chi è?
- Ecco il suo biglietto di visita.
- Diamine! esclamò il marchese gettandovi l'occhio e rivolgendosi al conte Alberico: ma non è morto il vecchio Suardi?
- Il vecchio Suardi? Che dite mai? Chi sa da quanti anni non c'è più nemmeno la polvere!
- Ma qui leggo Andrea Suardi.
- Andrea Suardi, va bene: è suo figlio.
- Ma aveva un figlio il vecchio Suardi?
- Chi sa quanti ne avrà avuti! Ma questo è il solo che si conosce.
- E che mai può volere da me? Io lo rimando, che te ne pare Alberico?
- Uhm... è un furfante prepotente e manesco, che potrebbe mettere sossopra tutto il palazzo, se gli negaste di riceverlo.
- Allora gli faccio dire di tornare un altro giorno.
- Fate quel che volete, ma io conosco la bestia; è razza di stalliere, di lacchè e d'ergastolo. Non si sa mai quel che può succedere.
- Ma tu lo conosci?
- Lo conosco benissimo. Chi vive in pubblico, come faccio io, bisogna bene che si trovi spesso questa canaglia fra le gambe.
- Allora va tu stesso a dirgli di tornare un altro giorno.
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