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      Scoperto, ebbe più d'una volta, dai compagni più generosi e più espansivi, delle formidabili tambussate, ch'egli subiva a capo chino senza far motto, per rapportare poi tutto ai superiori. In un collegio di gesuiti poteva essere tollerata la bugia, la calunnia, la viltà, la denunzia; ma i cazzotti dati a buona guerra non potevano figurare mai nella tabella delle cose permesse: onde esso riusciva sempre a trionfare, e i generosi a portar sempre la pena di tutto.
      Uscito di collegio, passato all'università, risparmiato dalla coscrizione militare per esser figlio unico; studiò legge dapprincipio, poi si ascrisse alla facoltà medica, sollecitato non già dal nobile amore della scienza, ma da un intento stranissimo e turpe, che noi non troviamo la parola per poter definirlo. Egli nella sala anatomica si pasceva della vista dei cadaveri muliebri sottoposti alla sezione; nè l'indole sua simulatrice bastò a nascondere ai condiscepoli quella orrida sua bramosia; perciò un suo compagno, osservatore acuto, lo chiamò la satiriaca jena. E questo fu l'altro istinto che si sviluppò tra gli anni dell'adolescenza e della giovinezza; «chè ad ogni fase della vita era destino che gli desser fuori tutte le prave tendenze onde, nei tristi, ciascuna età dell'uomo può essere contaminata. Fu dunque un libertino dei più dissoluti e osceni, e dello spettacolo delle donne andava sì preso, che le divorava cogli occhi, e i suoi occhi assomigliavano, nella movenza maligna e procace e in quel senso d'ineffabile disgusto che eccitava, a quelli dell'ourang-outang e del mandrillo.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507