A ventun anni s'invaghì d'una bellissima giovinetta di nobile casato. Il suo non fu l'amore che deriva dalla squisitezza del sentimento; ma quel furore voluttuoso fatto di grascia bollente; quel furore ributtante che, in alcuni quadri barocchi, vediamo nei fauni che inseguono qualche ninfa.
Siccome era profondamente dissimulatore, e nel collegio dei gesuiti aveva condotta all'ultima perfezione quella sua qualità, così nella casa di lei recitò così bene la parte di bravo giovine, che alla fanciulla non dispiacque del tutto, e i parenti furono contentissimi di dargliela in isposa, quand'egli ne fece la domanda. Povera giovinetta! Un canarino gentile dato in dono a un fanciullo perverso, che in sul primo lo accarezza e lo bacia per la novità, poi gli strappa la coda, poi gli spenna le ali, poi gli cava un occhio con uno spillo, può dare qualche idea del come si trovò quella disgraziata nelle mani di quel tartufo maniaco inferocito. Di tal modo ella visse con lui cinque anni, e, per sua fortuna, morì di febbre perniciosa. Egli stette solo per assai tempo, durante il quale gettò dietro alle donne danari a manate; poi, venutogli un altro capriccio indomabilmente rapido, prese in moglie un'altra giovine e ricca. Contava allora ventisette anni, e di fresco aveva accresciuto l'asse paterno, alquanto dilapidato, coll'eredità di un grosso milione. Questa seconda moglie era di carattere altero e forte, ed a coloro che si fecer lecito di dirle, si guardasse bene di unirsi a quella bestia feroce, rispose: la domerò io.
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