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      Salvare un'anima perduta, e assicurare il paradiso a un'anima nata fatta per esso, furono le due idee che esaltarono la carità entusiasta di monsignore. A ciò s'aggiunga una specie di puntiglio, che, a sua insaputa, gli si era fitto nell'animo, e nol lasciava tranquillo da un pezzo, di riuscire ad avere il disopra su quel petulante di maestro Brambilla. Il conte Alberico, dal canto suo, avendo recitato maravigliosamente con lui la parte d'impostore, col protestare d'essere stanco e pentito della propria vita peccatrice, coll'assicurare di sentirsi purificato da quell'amore, e di non scorgere per sè altra via di salvamento che nel matrimonio con quella fanciulla santa, era pervenuto a far veder chiaro a monsignore che la Provvidenza in quella occasione avea voluto dar la più evidente prova della sua presenza, e che però bisognava assecondarla con tutta l'anima e con tutto lo zelo.
      Quando monsignor Opizzoni riprese le sue visite ai conjugi Gentili per fare quella proposta che, secondo il suo concetto, doveva riuscir salutare come un miracolo di Gesù Cristo; madamigella Stefania stava per conchiudere una scrittura coll'impresario Barbaja. Quest'uomo, che avea cominciato la sua carriera col fare il guattero nei fondaci delle bottiglierie, poi, spinto dal suo genio, nell'anno medesimo che Volta inventò la pila, scoperse l'alto segreto di mescolare la panna col caffè e colla cioccolata onde nell'imperitura parola di barbajata si fece un monumento più saldo del granito; poi, diventato appaltatore dei giuochi d'azzardo nel ridotto della Scala, arricchì straordinariamente, di modo che presto assunse l'impresa del teatro stesso e quella del San Carlo di Napoli; quest'uomo dunque, meno le sue speciali cognizioni sul cacao e sul moka, era di una ignoranza mitica; ma aveva il genio del far danaro, senza guardare ai mezzi, senza idee di onestà, non fido che all'ultimo intento; come un condottiero il quale divorato dal furore delle conquiste, move innanzi senza badare al diritto, calpestando le popolazioni e moltiplicando le stragi.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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