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      Eppure non era così, anzi era precisamente il contrario. Pochi giorni prima era stata mandata ai parroci una notificazione da leggere in pubblico, portante obbligo a tutti di notificarla, pene gravi ai delinquenti, perdono e impunità ai complici che li denunziassero.
      Numerose truppe e treni d'artiglieria arrivavano e passavano per Milano, diretti a Pavia a guardare il Ticino ed il Po. Al console di Napoli era stato ingiunto di partire immediatamente da Milano, quasi che la costituzione imposta al suo re, per suo mezzo dovesse diventar contagiosa qui come la febbre gialla e il vajuolo nero.
      In quanto all'ordine interno e alla sicurezza pubblica, le strade suburbane eran continuamente infestate da bande di assassini; nella città quasi quotidiani gli assalti notturni, le uccisioni e i furti. L'allegria cittadina assomigliava dunque alla luce del sole, che rischiara indifferentemente tanto il male quanto il bene.
      Come quando il corpo umano dev'essere travagliato da qualche malore critico, che porterà lo scompiglio in tutte le sorgenti della vita, per ispegnerle o per rinnovarle tutte, che il colore vivace della salute è mantenuto in viso pur dalle stesse accensioni della febbre, così appariva alla superficie lo spirito della società di quel tempo, in cui diedero fuori i primi sintomi di una profonda trasformazione in tutte le sfere della vita pubblica e privata, del pensiero e delle aspirazioni nazionali, in tutti i rami della scienza, in tutti i campi dell'arte.
      In quella stessa gazzarra del Monte Tabor erano ostensibili tutti gli elementi vivi della rigenerazione che stava per succedere in tutto l'organismo della società.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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