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      - Non pare nemmeno a me; e Pompeo Marchesi, coi capelli dietro l'orecchio, cadenti sulle spalle, colla testa alta e come fiutante l'aria del proprio avvenire, tirò innanzi facendo far la ruota a un modesto bastone, di quelli che si chiamavano pagadebiti, perchè anch'esso, insieme col pittore Comerio, apparteneva alla Compagnia della Teppa; memori e orgogliosi entrambi delle pericolose fazioni compiute quand'erano studenti a Roma, dove per aver insultato un cardinale, sarebbero stati chiusi in Castel Sant'Angelo, se il console di Francia non li avesse fatti fuggir nottetempo.
      E il Baroggi tirò innanzi passeggiando e chiacchierando, e di lì a poco s'incontrò in due giovani da lui amatissimi: il Bazzoni Giunio di Milano e l'abate Giuseppe Pozzone; nato il primo a lasciar traccie luminose nella poesia italiana, se l'indole austera, e una modestia eccessiva, e una misantropia selvaggia non gli avessero impedito di alzare più audace e più lungo il suo volo; e il secondo, carissimo anch'egli alle Muse, di gusto più squisito, e che se l'abito sacerdotale non gli avesse contristata la vita, avrebbe avuto salute più florida, vita più lunga e fama poetica più duratura. Con questi il Baroggi continuò parlando di letteratura e discutendo sul merito del poeta Redaelli di Cremona, morto giovanissimo due anni prima, e già celebre allora per alcune anacreontiche leggiadre, per delle terzine sui disastri della campagna di Russia; ma specialmente per un componimento a tinte lugubri, in cui si cominciava ad aprire il varco alle nordiche influenze, alla moda dei singulti disperati, e dove si accennava che il chiaro di luna, le ombre, le upupe e le strigi immonde, dovevano essere i novelli ingredienti dell'estro poetico; di quell'estro però che non è genio, ma una specie di convulsione intellettuale e di lusinghiero pervertimento del gusto.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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