Il rapimento del nano fiorajo della via dei Pennacchiari e la sua deportazione alla Simonetta, suggerì dunque a quei capi strani il ratto dei nani più noti e più velenosi che possedeva Milano. La caccia durò qualche tempo; le imboscate furono molte; i nani celebri, i quali sapevano che si volevano metter le mani su di loro, giocarono per un pezzo di astuzia onde involarsi e trafugarsi; ma i monelli della città tenevan bordone alla compagnia, e al pari dei levrieri e dei bracchi che avvisano il cacciatore della presenza del selvatico, svelavano il nascondiglio dei nani inseguiti, il come e il quando ne uscivano, e, colto il punto, eran tutti addosso, come sul cignale, quando, tentato e ritentato, finalmente sbuca infuriato dal covo. Allorchè i compagnoni ebbero messo insieme una cacciagione di una dozzina di nani, pensarono di non farne altro, e di raccoglierli tutti in un luogo solo per dar loro un lauto banchetto, e poi rinviarli in pace alle loro dimore. Ma il Bichinkommer fu causa che di quella schiera di gnomi si cavasse un partito, e si venisse in seguito a stabilire il modo onde poter dare una pratica applicazione a quella stramberia che non aveva nessun fine in se stessa.
XXVIII
- Molte volte ho pensato fra me, disse un giorno il Bichinkommer al barone Bontempo, come si potrebbero punire quelle donne che fanno uso della propria bellezza per tormentare e tener continuamente in sulla corda i giovani inesperti; quelle tra le elegantissime patrizie, che, dopo aver dato un calcio al marito, all'amante italiano, fanno sfacciatamente all'amore coll'ufficialità austriaca; come si potrebbero punire quelle, che, sebbene agiate, permettono che i giovani vadano in malora per soddisfare alla loro ambizione e ai loro capricci, e, rovinati, li abbandonano poi alle risate, alle fischiate del bel mondo.
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