Madama Falchi fu trattenuta per l'ultima alla Simonetta, onde sottoporla alle interrogazioni del Bichinkommer ed alle intimazioni del Granzini e del Bernacchi, e cavarle di bocca come furon fatti sparire i documenti appartenenti all'archivio dello studio Macchi-Agudio. Se non che la Falchi, dotata, come sappiamo, d'una natura assai affine a quella delle tigri, invece di subire l'effetto delle umiliazioni e degli insulti, s'era venuta inferocendo pel dolore stesso delle ferite. Così stette forte e chiusa e imperterrita, e perfino minacciosa, tanto che fu rimandata anch'essa in città senza nessun'utile conclusione. I compagnoni tornarono a Milano; il barone Bontempo, che, ad eccezione del Granzini e del Bernacchi, era il solo conosciuto dalle dame, lasciò a buoni conti il Palazzo della Simonetta, e si recò nel Cantone Ticino ad aggiustare i conti col fattore delle terre che possedeva a Mendrisio, e ad informarsi come era andata la vendemmia in quelle parti là. Ma se il palazzo della Simonetta e il suo eco rimasero silenziosi, un rumor sordo era già corso per tutta Milano. I padri, i mariti, i fratelli, i parenti delle dame malcapitate, sebbene queste avessero volontà di tacere, le costrinsero a parlare, e il poco che palesarono di quel ch'era loro seguito, bastò perchè tutte quelle famiglie strepitassero: e rimostrando questi e tanti altri disordini avvenuti di quei giorni per opera della Compagnia della Teppa, con un ricorso sottoscritto da molte persone, invocarono dalle autorità competenti un provvedimento che mettesse fine a quel flagello pari e peggiore d'ogni altra peste.
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