Ma, lasciando da parte la calzoleria, ciò che rendeva distintissimo il Ronchetti era la svegliatezza del suo ingegno, e l'amore quasi febbrile per tutto che v'è di grande tra gli uomini, le idee e le cose: per codesta qualità, siccome egli ambiva di avvicinare le persone più eminenti del suo tempo; così queste facevano a gara nell'avvicinar lui, nel complimentarlo, nell'esaltarlo; i poeti gli mandavavano le loro opere; i pittori e gli scultori le produzioni del loro pennello e del loro scalpello; gli alti dignitarj lo onoravano di lettere; così che la raccolta degli autografi posseduti dal Ronchetti parrebbe quella di Voltaire, dell'Algarotti, di Talleyrand, di Nesselrode; tanto è vero che un primato, qualunque sia la sfera delle umane discipline, può mettere un individuo al livello e al disopra di chicchessia. Aveva ragione il ciabattino del Giulio Cesare di Shakespeare, quando esclamò, pieno di giusto orgoglio: «Io sono il primo cittadino di Roma; tutta Roma passeggia sull'opera delle mie mani». Ma, tagliando corto, la sua umile casetta fu scelta anzi da lui stesso, tanto amava il progresso e il bene del paese, fu esibita per conventicolo segnatamente dagli operaj ed industriali, e di quanti s'erano incaricati di fare entrare anche costoro nella santa impresa di rigenerare la patria comune. In quella sera molti eransi là raccolti, compresi il padre Ronchetti e il maggiore dei suoi figli, ancora adolescente, ma di tale ingegno e di tempra così severa, che quanti lo conoscevano tra i Federati frequentatori della casa Ronchetti, permisero che anch'egli assistesse alle conferenze.
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