Chiesi inoltre un'udienza privata al presidente Mazzetti, che fin dal 1820 era stato a Milano, credo come ispettore dei tribunali. - Gli parlai in modo che rimase convinto, perchè l'esistenza del testamento, tuttochè giudicato apocrifo, e parecchie deposizioni di due scrivani del notajo Agudio, sebbene insufficienti a far prova rigorosamente legale, non potevano a meno di piantarlo nella persuasione, che l'edificio che durava da tanti anni, non doveva essere affatto un edificio immaginario. Dichiarai inoltre ch'io era disposto a trattar la causa ab ovo, e che infinite cose avrei rivelate, che al marchese non sarebbero certo piaciute. Il Mazzetti, nelle sale del governatore, parlò all'amico del marchese, e questi, dopo alcuni giorni, mandò a chiamarmi, e sotto colore di cedere alla gran bontà dell'animo suo, mi invitò a far delle proposizioni: siamo a casa, dissi fra me, e cominciai dal chiedere moltissimo. Il marchese s'impennò di nuovo. Io stetti forte e irremovibile, e non mi lasciai più vedere. Ma un bel giorno ricevo un bigliettino dal conte amico del marchese, col quale mi invita a casa sua. - Ci vado senza farmi aspettar troppo. - Il conte mi dice: il marchese è pronto a pagare settecentomila lire milanesi al signor Giunio Baroggi. Per finirla, rispondo, giacchè vi spaventa la cifra del milione, aggiustiamola in novecentomila lire. Il conte non disse nè sì nè no per allora; ma, dopo molto tempestare, si concluse che stava egli garante di tutto, e si sarebbe finito l'affare a quel modo.
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