CAPITOLO I
Prima educazione, prospettive,
vessazioni, contrattempi e vicende di viaggio
Tutti i giorni che Dio metteva in terra, quando l'orologio batteva le undici, il mio zio canonico diceva immancabilmente la messa; ed io, pure immancabilmente, gliela servivo.
Questa faccenda di tutti i giorni, che durava da due anni interi, aveva perduto per me ogni attrattiva di novità: e poiché, per di più, la messa dello zio era molto lunga, non starò a dire come ne fossi maledettamente annoiato. Per questo, dopo che gli avevo versato il vino e l'acqua, nell'atto di riporre le ampolle dietro una tendina al lato sinistro dell'altare, non mancavo mai di dare, riparato dalla medesima, una buona succhiata all'ampolla del vino. Facevo questo per sollevarmi dalla noia e per puro divertimento, giacché il vino non mi piaceva. Dopo la messa, nel tempo che lo zio, spogliatosi degl'indumenti sacri, faceva in sagrestia il ringraziamento, andavo regolarmente alla posta a prendere le sue lettere, che ponevo con altrettanta regolarità sopra il suo tovagliolo; perché quando tornava a casa erano quasi le dodici, l'ora del desinare, e la tavola era già apparecchiata.
Questo zio, il più vecchio dei fratelli di mio padre, viveva in un paesello di provincia, a mezza strada da Genova a Nizza, dove amministrava, alla meglio o alla peggio, alcuni terreni di mia madre, la maggior parte uliveti. E qui non so capire come mio padre, che stava a Genova (non parlo di mia madre, perché non aveva voce in capitolo) si fosse risoluto a mandare il primogenito di sette anni appena in quel paesello, per incominciarvi la sua educazione in casa del predetto mio zio canonico.
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