Tutto anzi, congiurava a far di lui la più goffa caricatura: un'enfasi volgare, gesti ridicoli, smania di citazioni spropositate, ed un mettersi in questioni molto maggiori delle sue forze.
E qui debbo far parola di una debolezza affatto incomprensibile in una persona di membra così sproporzionate. Gambediragno avrebbe potuto nascondere i suoi difetti portando una lunga zimarra, come usano comunemente i preti dei nostri luoghi; ma tutt'altro. Quasi a far pompa delle sue deformità, portava l'abito corto, cioè i calzoni fino al ginocchio e le calze nere di seta, una riforma dell'abito ecclesiastico assai moderna, e trovata forse da qualche abate che ambiva mostrare le sue polpe. L'uomo più serio non avrebbe potuto frenare le risa alla vista di Gambediragno, con la testa inclinata, con molta compiacenza, sur una spalla, col ferraiolo raccolto sotto il braccio, coi gomiti squadrati, colle punte dei piedi volte in fuori, col passo saltellante, che rendeva somiglianza di una gazza quando saltella scotendo la coda.
La lezione incomincia. Gambediragno è sulla cattedra fatta a guisa di bigoncia. Quante volte vi stette, come alla berlina, segno alle beffe e agl'insulti di una turbolenta scolaresca! Gli scolari entrano uno dopo l'altro nella scuola, tenendo ciascuno il lembo della veste sotto il braccio e facendo la caricatura degli atti ridicoli del maestro. Tutti sono in mezzo alla scuola e dicono la lezione in un modo mirabile: una sola parola non è lasciata. Il maestro si compiace dell'insolita diligenza, fra il sogghigno di tutta la classe che egli però non capisce.
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Gambediragno
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