Pareva quasi impossibile che fossero quegli stessi giovani così turbolenti e discoli della mattina. Colui che aveva saputo produrre colla sua presenza tal cambiamento merita che se ne dica, innanzi, qualche cosa al lettore.
Il signor Lanzi, così si chiamava il maestro di poesia latina e italiana, era un uomo sulla quarantina, notabilmente disposto alla corpulenza, che però non dava molto nell'occhio per l'alta e ben proporzionata persona. Portava gli occhiali con montatura d'oro, aveva la faccia ben colorita e spirante serenità e benevolenza. Intelligente e gentile era il suo sorriso, dolce e melodiosa la voce. Ma l'autorità che esercitava sopra la numerosa scolaresca dipendeva in gran parte dalla natural finezza delle sue maniere, onde si guadagnava l'affetto e al tempo stesso incuteva una riverenza spontanea.
Non c'è cosa che tanto riesca a cattivare il rispetto dei giovani quanto il trattarli con certi riguardi, poiché desta in loro il sentimento d'onore di renderli meritevoli di quella buona opinione in cui si mostra di tenerli.
Ma forse quel che contribuiva maggiormente a renderlo amato e autorevole, era il non essere egli prete; che se fosse stato o prete o frate, che erano per noi sinonimi di tiranno e di scempio, avrebbe sicuramente incontrata una costante opposizione, e si sarebbe eccitato contro un sentimento di malvolere, che avrebbe saputo vincere col tempo, ma a gran fatica.
Perché dunque portava gli stivali invece delle calze di seta, e il cappello tondo in cambio del nicchio, non trovò gli animi mal disposti, e noi presto capimmo che ci potevamo affidare alla sua guida senza nulla rimetterci dell'onore.
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Lanzi
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