gridò il mio avversario, ferito sul vivo dall'ironia del mio tono.
Tanto meglio per mediss'io; "se accettate la provoca ch'io vi offro in qualunque genere di metro e di argomento. Io scommetto i miei novecentoquarantatre punti di merito contro i vostri centonove: è una piccola giunta che vi posso dare facilmente".
Il maestro mi riprese con buon garbo della mia bravata, facendomi osservare che la modestia è la miglior corona del merito vero, e ci propose per tema La morte di Filottete, dandoci due giorni di tempo per il componimento.
Se io ero naturalmente inclinato a non mettermi in impegni senza averci prima ben pensato, era pure mio costume, una volta che mi c'ero messo, di sostenerli con tutto l'ardore e la perseveranza. Perciò, un'ora dopo quel dialogo, ero già al tavolino nella sala di studio con un foglio di carta innanzi e con gli occhi vòlti al soffitto per ispirarmi, torcendomi i capelli con le dita, rosicando la punta della penna, e insomma essendo in tutto il calore della composizione. Dopo pochi minuti, la bramosìa di umiliare il mio avversario facendomi da musa, detti la stura ai versi, sicché sulla fine del secondo giorno avevo già innanzi a me un'enorme rapsodia, corretta, unita e di nient'altro mancante che di esser messa a pulito.
Debbo confessare che ero contentissimo del mio lavoro, e ne avevo ragione; poiché avevo svolto e amplificato fino in quattrocento versi ciò che si sarebbe potuto esprimere benissimo in cento.
Sebbene durante i due giorni fossi tutto assorto nel mio lavoro, avevo potuto notare un misterioso va e vieni intorno al principe.
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Filottete
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