Tanto io che lui lo sapevamo bene.
Giù quella mano!
esclamai spingendo in basso col rovescio della destra il pugno che il principe tendeva alla mia faccia. "Sebbene non sappia chi di noi due sia più forte, so nonostante che io ho coraggio dieci volte più di voi".
Puff!
gridò il mio avversario; "voi in questo momento avete paura".
A dirla come stadiss'io "suppongo che abbiate voglia di battervi".
Per l'appuntorispose.
Ed io, eccomi quareplicai; "uomo per uomo".
La lotta a pugni era molto comune in collegio, ed aveva le sue regole come i duelli nella vita sociale. Ognuno di noi scelse subito i due padrini, che dovevano stabilir l'ora, il luogo e il modo del pugilato, da farsi il giorno dopo. I miei padrini erano Alfredo, s'intende, e Federigo: quelli del principe Anastasio e il Barilli.
La mattina seguente, a due opposte cantonate del piazzale da giuoco, si vedevano due gruppi, ciascuno di tre persone: il principe da una parte, io dall'altra coi propri padrini; il resto della camerata, pregato da essi, si era sparso all'intorno come al solito, per allontanare da noi l'attenzione del prefetto.
Il povero Alfredo era tutto occupato a legarmi un fazzoletto intorno alla vita e a darmi ogni specie d'avvertimento: "Vedi, Lorenzo" mi ripeteva più e più volte, "di aggiustargli un buon colpo nello stomaco, e sii certo che lo stendi a terra in un momento".
Pronti!
gridò una voce dalla parte opposta, e tutti e sei ci stringemmo insieme.
I rispettivi padrini ci esposero chiaramente le condizioni della lotta.
| |
Alfredo Federigo Anastasio Barilli Alfredo Lorenzo
|