A compimento del racconto debbo aggiungere che tanto io quanto il principe avemmo la soddisfazione di desinare e di cenare a pane ed acqua alla tavola di penitenza.
Ci rimane ora a valutare gli effetti di ciò che abbiamo narrato; e a tal fine cominceremo da una settimana dopo il giorno del pugilato.
Principalmente diremo l'effetto più inaspettato e meraviglioso; il quale fu che il principe, fin dal giorno della sua seconda disfatta, divenne tutt'altro da quel che era prima. Di buon umore e gentile con tutti, era specialmente con me pieno di attenzioni. In tutti i giuochi scommetteva per me, mi chiamava arbitro nelle sue differenze, e ricorreva a me per aiuto in ogni difficoltà dei suoi componimenti ed esercizi.
Avrei voluto crederlo sincero, ma non mi riusciva; temevo anzi di qualche tranello, sapendo quanto fosse vendicativo.
Nondimeno ricevevo le sue cortesie con buona maniera, ma con una freddezza che evidentemente lo addolorava.
Quanto al resto della camerata, l'essermi fatto arditamente innanzi, e le due successive vittorie, mi avevano dato sugli animi quella padronanza, a cui appunto miravo. Lo spirito degli oppressi si era alquanto rialzato, e le cose nell'insieme piegavano in meglio. L'esazione dei balzelli ordinari continuava, è vero; ma non c'erano più offerte volontarie, non sorrisi ed altri atti di ossequio. Solo regnava nella camerata una silenziosa e triste rassegnazione; e quando Anastasio si allontanava tanto da non poter sentire, si udiva un cupo mormorio per la sala, e gli sguardi dei malcontenti si fissavano su di me.
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Anastasio
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