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      Non accade che io dica come Alfredo ed io non ci stancassimo mai di soffiare nel fuoco perché divampasse. Federigo poi, per essere stato uno dei miei padrini nel pugilato col principe, si era ormai tanto compromesso da dover essere tutto quanto dalla nostra. E di lui ci servimmo per prendere quello dei nostri compagni, che era il più gagliardo, dopo i satelliti del tiranno. Era questo un prezioso acquisto, ma costò caro. Dapprima Alfredo gli regalò un bellissimo temperino con dieci lame, che, sebbene fosse carissimo al mio amico, fu nondimeno sacrificato volentieri alla gran causa.
      Io poi avevo dato la mia parola d'onore che avrei fatto il componimento del nuovo congiurato per la prossima distribuzione dei premi, perché ne potesse avere qualcuno. Il povero ragazzo ne era ansiosissimo, avendogli la nonna promesso un orologio d'oro la prima volta che avesse ottenuto qualche onore.
      Così eravamo quattro, e ben risoluti: tutta la camerata era disposta in nostro favore: i miei amici della prima ci sollecitavano, offrendoci anche il loro aiuto; ogni giorno, anzi ogni ora, si faceva più probabile che Anastasio e la sua compagnia si accorgessero che in aria c'era per loro una burrasca: insomma conobbi che il momento era giunto e fissai il giorno per l'azione.
      Ecco il nostro piano. Avevamo stabilito con gli amici della prima camerata che la sera seguente, quando l'intero collegio tornava da cena, essi avrebbero ritardato il passo ai loro compagni, mentre Alfredo ed io l'avremmo affrettato ai nostri, finché per tal modo le due camerate entrassero al tempo stesso nel largo e buio pianerottolo che separava le rispettive sale di studio.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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