Allora gli amici della prima si sarebbero confusi con la seconda, gridando a tutta gola: "Giù Anastasio! Giù il tiranno!" e questo grido dovevasi ripetere da Alfredo e da me.
Dovevano inoltre rinfacciare ad Anastasio le sue estorsioni, che eran vere ladrerie, e gridare alla nostra camerata che si vergognasse di farsi così calpestare. Che se poi i nostri ausiliari avessero creduto bene, per rendere l'argomento più persuasivo, di scuotere un po' il giubbone ad Anastasio e stringergli alquanto la cravatta, tanto meglio così; a qui la loro parte avrebbe dovuto necessariamente finire, perché i prefetti intervenendo avrebbero cacciati i tumultuanti della prima camerata nel loro salone. Il resto toccava a noi; e dovevamo battere il ferro mentre era caldo. Il giorno stabilito era giunto, e poche ore mancavano al momento dell'azione. Erano le quattro pomeridiane e la congiura doveva scoppiare alle otto, quando la porta della nostra camerata si aprì stridendo sui cardini: "Signor Lorenzo, il P. Rettore desidera di parlarle" e la porta si richiuse. Queste poche parole, che il P. Ministro lasciava cadere lentamente, per così dire, dalle labbra, mi produssero un gran turbamento.
Che sia stata scoperta la trama? Oppure m'aspetta una solenne sgridata per causa della lotta col principe? Ma oramai questa è cosa troppo vecchia. A dirla schietta, la mia coscienza mi ricordava in quel momento tanti peccatuzzi, che io non sapevo indovinare quale fosse la vera cagione della chiamata; per cui, tremante e impaurito, mi diressi all'augusto tribunale.
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