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      Il P. Rettore era un vecchietto sulla settantina. La sua parrucca, rossiccia e un po' storta, le guancie prominenti e anch'esse rossiccie, e una grossa vena che segnava una linea azzurra sopra il suo naso sempre rubicondo e tabaccoso, lo rendevano una figura più ridicola che autorevole. E nonostante questa sua grottesca apparenza, non mai vi fu monarca più riverito nella sua potenza dai sudditi, di quello che fosse il P. Rettore dalla turbolenta gioventù affidata alle sue cure. Ciò non era solo dovuto al suo potere senza limiti; ma ben altre cause contribuivano a renderlo degno di profonda reverenza: un nome illustre, maniere squisite, frutto di un'educazione altamente aristocratica, anzi principesca; una reputazione di immensa dottrina e di un'austerità di vita, degna veramente dei primi secoli della Chiesa. Meravigliosi racconti delle penitenze e macerazioni, le quali si diceva ch'egli facesse, andavano in giro per il collegio con lo scopo di colpire le nostre giovani menti, disposte a ricevere forti impressioni da tutto ciò che sorgeva sopra l'ordinario, ed anche con lo scopo d'ispirarci grande venerazione per una testa che già vedevamo cinta dall'aureola della gloria celeste.
      Tanto gentile ed umano, quanto poteva essere nella sua carica, sebbene fosse severo per sistema, tutto pieno del coscienzioso sentimento del dovere, quell'uomo austero univa in sé nel più alto grado tutte le virtù e i difetti di un fervente sacerdote cattolico. Si era tutto quanto dedicato al giovine gregge affidatogli, e si credeva responsabile in faccia a Dio del bene eterno di quello.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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