Cosa strana, ma vera! La pubblica educazione in Piemonte era affatto repubblicana. La storia di Grecia e di Roma, l'unica cosa che ci fosse insegnata con molta cura nel collegio, era, in verità, secondo l'aspetto in cui ci veniva presentata, poco meno che un libello famoso contro la monarchia ed un vero panegirico del reggimento democratico. La decadenza di Atene e di Sparta, felici e fiorenti finché si ressero a repubblica, incominciava dal giorno nel quale il potere si ridusse nelle mani di un solo.
La grandezza e potenza di Roma avevano principio dalla cacciata dei Tarquini, e quella grande repubblica, che aveva dato leggi al mondo, sfioriva sotto la mano dei Cesari, diventava incapace a difendere le sue conquiste, a frenare le rivolte, e alla fine svaniva.
L'indignazione contro i despoti e l'ammirazione per i loro uccisori parevano destate in noi a bella posta. I soggetti delle composizioni, che ci venivano date, consonavano con queste idee. Qualche volta facevamo tuonare la nostra eloquenza latina contro Cesare al Rubicone, provando in una orazione di tre parti, compreso l'esordio e la perorazione, che era atto di figliuolo snaturato soffocare la repubblica madre. In altre composizioni spesso erano da noi edificati in poesia i due Bruti, Muzio Scevola, Catone, ecc. Per tal modo, nella tenera età, ci erano ispirati sentimenti e idee affatto opposte a quelle che avremmo dovuto seguire nella vita reale, e destata in noi un'ammirazione per atti e per virtù, la cui imitazione sarebbe stata condannata e punita come un delitto dalla società in mezzo a cui saremmo vissuti.
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