La carta da scrivere, che il prefetto giornalmente distribuiva, era così cattiva, da essere più buona a involgerci dei canditi, che a scrivervi sopra. Credendo in tutta semplicità di fare uno scherzo piacevole e senza malizia: "Prego, signor prefetto", gli dissi, "avrebbe la bontà di darmi un foglio di quel bellissimo papier velin?". Non appena ebbi pronunziate queste parole, che il gonzo, scambiando, Dio glielo perdoni!, la parola velin con vilain, mi rispose con un tale schiaffo che mi fece vedere tutte le stelle del cielo. Non c'è parola che possa esprimere la rabbia che mi prese a quell'insulto: la soffocazione mi tolse dapprima la parola, e appena l'ebbi riavuta, proruppi in un torrente d'invettive tali che le meno ingiuriose furono: asino, bestia, imbecille! "Andate in ginocchio!" gridò il prefetto infuriato. "Non voglio andarvi", risposi io, non meno infuriato. "Lo vedremo", replicò egli, afferrandomi alla vita. Ma io ebbi tempo di aggrapparmi ad una delle grandi scrivanie lungo la sala da studio, e don Silvestro appena riusciva a trascinarmi di qualche passo insieme con essa.
Vedendo inutile questo modo, ricorse ad un altro, e per farmi lasciare la scrivania, si dette a picchiarmi sulle mani con una chiave. Ma neppure così otteneva il suo intento: poiché, non potendo percuotermi nello stesso tempo tutte e due le mani, riusciva solamente a farmene staccare una, mentre mi aggrappavo con l'altra; non mai però tutt'e due insieme.
Già avevo le mani tutte ammaccate e sanguinose, e il dolore mi strappava gemiti soffocati, quando entrò il Vicerettore.
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Dio Silvestro Vicerettore
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