Sonò a cena. Eravamo appena giunti in refettorio, quando apparve il Vicerettore, che per solito presiedeva ai nostri pasti. Uno scoppio di fischi e di urli s'alzò dalla nostra tavola; quella della seconda e della terza, fedeli alle istruzioni ricevute, fecero eco, e anche le camerate inferiori, per ispirito d'imitazione, s'unirono ad esse. Il Vicerettore montò in ira e si fece rosso come un tacchino, intimando il silenzio. Altri urli e fischi mescolati con le grida: "Dove è il Vadoni? Vogliamo Vadoni!" si alzarono da ogni parte del refettorio e soffocarono le parole del superiore incollerito. Il tumulto e il disordine non finivano più.
La voce del lettore (era costume che durante la prima parte del pasto da qualcuno dei collegiali si leggesse qualche libro a voce alta, ed il silenzio era rigorosamente osservato), la voce, dico, del lettore si perdeva tra il tumulto e le grida dell'intero collegio. Il povero ragazzo aveva un bello sfiatarsi. Finalmente si fermò, volse uno sguardo pietoso al Vicerettore come per dirgli: "Vede bene che è fatica perduta", chiuse il libro e venne via dal posto del lettore. Questa defezione fu salutata da uno scroscio generale di risa e dalle grida: "Bene! Bravo! Giù il tiranno! Viva il Vadoni! Vogliamo il Vadoni!".
Come un mezzo di farla finita con questo ammutinamento il Vicerettore pensò bene di abbreviare il tempo della cena, e si affrettò a dare il segno di ritirarsi, recitando prima del solito il ringraziamento. Le camerate inferiori si alzarono, come l'uso, a quel segno; ma la prima si mise a protestare e rimase a tavola gridando: "Non abbiamo ancora finito di cenare!
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