Può darsi, anzi è probabilissimo, che da una tale paura fosse preso il prefetto, il quale subito dopo uscì, e molto facilmente andò ad esporre questo suo timore ai superiori. È altresì vero che nessuno pensò mai a bruciar nulla, e che l'unico scopo nostro era di far qualche cosa e di fare più disordine e tumulto che fosse stato possibile.
Il prefetto, come dissi, ci lasciò, e ne seguì una specie di assopimento. Ciascuno era sfinito e per di più sentiva che le cose erano venute al punto di richieder l'intervento di quel tremendo potere, che non voleva mostrarsi, se non quando fosse un dignus vindice nodus. Perciò ognuno cercava di fare animo per la prova decisiva. La maggior parte di noi se ne stava seduta presso il proprio letto aspettando in silenzio quello che fosse per accadere.
La nostra aspettativa non fu delusa. Presto udimmo ad una certa distanza il suono penetrante di quella voce che mai non aveva comandato invano. L'uomo innanzi al quale ogni volontà si chinava, ogni resistenza cedeva, era vicino: "Coraggio!" gridò lo Sforza: "si riceva come gli altri, e il Vadoni ci sarà restituito". Il vecchio frate entrò avendo alla destra il Vicerettore e alla sinistra il P. Ministro. Vi fu un po' di movimento nel dormitorio. Alcuni dei nostri compagni, solamente per forza di abitudine, si alzarono in piedi in segno di rispetto. Alcune voci, e sopra a tutte quella dello Sforza, gridarono: "Vadoni! Vogliamo il Vadoni!" ma erano poche.
Silenzio!
tuonò la terribile voce: "Chi ardisce proferir parola in mia presenza?
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Sforza Vadoni Vicerettore Ministro Sforza Vadoni
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