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      Il suo delitto consisteva nell'aver servito come di bandiera: anche i collegi hanno la loro ragione di Stato: maledetta questa ragione! Dopo il Vadoni, venne lo Sforza. Nella sua faccia, non apparve il minimo turbamento; il suo aspetto non fece alcun segno di commozione; solo un sogghigno di sfida gli tremolava sull'angolo della bocca. C'era in quel ragazzo la stoffa di un uomo.
      L'ora che seguì a queste due esecuzioni di sfratto, parve un anno per noi e ci destò un'ansietà da non descrivere. Nulladimeno venne l'ora della colazione, senza che nulla accadesse. Sonò il campanello della scuola, e noi cominciammo un poco a respirare. In quello appunto che mi avviavo alla scuola mi fu detto che il maestro di musica era venuto e che perciò dovessi andare a lezione da lui. Questa fu più lunga del solito; e quando finì, i convittori erano tornati nella sala da studio, dove li raggiunsi. Alfredo non era al suo posto. A tal vista mi cadde il fiato. Era forse stato espulso? Ne domandai al mio vicino, e seppi da lui che Alfredo durante la scuola era stato chiamato dal P. Rettore e non s'era più visto. Questa notizia, come ognuno può immaginare, non scemò punto la mia trepidazione. Con qualche pretesto mi avvicinai alla scrivania d'Alfredo: c'erano sempre le sue carte e i suoi libri. Da ciò fui alquanto rassicurato. Ma ad ogni minuto la mia trepidazione rinasceva e più andava crescendo. Non sapevo che fare o che dire, quando uno dei miei compagni, che era stato in guardaroba a provarsi un abito nuovo, entrò e mi mostrò a qualche distanza, non veduto dal prefetto, un foglio ripiegato, sopra cui aveva scritto alcune parole.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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