Un'altra volta al caffè di moda del Cairo mi sdrucciolò di mano il bicchiere del sorbetto, che oltre a macchiare in più luoghi i miei ypsilanti, spruzzò la sottana bianca di una giovane signora, che ebbe la disgrazia di sedere vicino a me. Questa cosa fu proprio da balordo; e poiché gli occhi di tutti me lo dissero, ne rimasi oltremodo confuso. Dopo una quindicina di giorni, il mio accesso di vanità era notabilmente scemato, per cui chiesi a me stesso: A qual pro tanto sciupìo di tempo, di stivali e di pomata di gelsomini? D'altra parte, questo far pompa di me era poco consentaneo col mio carattere, e l'abbandonai senza rincrescimento. Dunque mi chiusi in casa e mi detti a leggere.
Leggevo dalla mattina alla sera. Novelle, racconti di fate, romanzi cavallereschi in versi e in prosa, viaggi: insomma ogni cosa che mi capitasse alle mani la divoravo con un'avidità insaziabile. Passavo tutta la giornata in una solita stanzetta posta nell'angolo il più remoto della casa, dove mi pareva di goder meglio i miei libri, e lì, in una specie di estasi, dimenticavo affatto il mondo esterno. La finzione mi faceva dimenticare la realtà. Qual fonte inesauribile di piaceri sempre nuovi e di dolci commozioni si effondeva sopra di me! Il meraviglioso specialmente aveva un'attrazione irresistibile; e quando riusciva a mia madre d'indurmi ad uscire per fare due passi, con qual riluttanza lasciavo i miei cari libri, e con qual desiderio ritornavo ad essi! Uno poi meravigliosamente mi rapiva e mi attristava al tempo stesso, Le avventure di Paolo e Virginia.
| |
Cairo Paolo Virginia
|