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      Si potrà avere una qualche idea del mio eccitamento quando avrò detto che tornai a casa con un accesso di febbre, che mi tenne a letto per tre giorni.
      Una sera, pochi giorni dopo il nostro ritorno, mio padre mi chiamò nella sua stanza. Aveva una testa molto grossa e portava i capelli e la coda incipriati. Non so per qual mai ragione io sentivo sempre una gran soggezione tutte le volte che dovevo comparirgli davanti; e questo sentimento, invece di scemare, cresceva ogni giorno più. Mio padre generalmente soleva tener me e tutta la famiglia a una certa distanza. Guardi Iddio che mi avesse fatto in privato una carezza, come appunto soleva mia madre, sebbene più d'una volta, come nel giorno della distribuzione dei premi, mi avesse abbracciato in pubblico! Dicendo che mi abbracciò, parlo figuratamente, perché dovrei dire piuttosto che mi porse a baciare le sue guance. Era usanza rigorosamente voluta da lui che tutti i figliuoli, venendogli innanzi, dovessero baciargli la mano e dargli del Lei, modo di trattare il più rispettoso in Italia.
      Mio padre mi disse che avevo avuto abbastanza svago; che ormai era tempo di finire quella vita, e che dovevo mettermi a qualche cosa; che non avrebbe mai consentito che entrassi nel commercio; che mi lasciava la scelta tra la medicina e la legge; che era necessario, così per l'una come per l'altra, attendere allo studio della filosofia; che per questo non vedeva che due istituti nei quali potessi, s'intende come alunno esterno, fare il biennio voluto degli studi filosofici, cioè il Collegio reale o il Seminario, nome d'un istituto destinato particolarmente alla educazione del giovane clero, e che infine avrebbe preferito il collegio; ma lasciava in mio arbitrio la scelta.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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