Per essere sicuro che mi sarei svegliato alla debita ora, mi attaccavo al polso una cordicella con un piombo appeso a uno dei capi, che toccasse appena appena il fondo di una catinella posta accanto al letto; dimodoché il più leggiero movimento la faceva sonare, rendendo così impossibile un sonno profondo.
Tutto questo però non era bastante per soddisfare la mia sete di penitenza. Avrei voluto un cilizio, ma non sapevo come procurarmelo; all'esempio di fra Martino, mi provai a flagellarmi con una di quelle fruste che si adoperano per battere i panni; ma, non so come, non riuscii mai a farmi del male. In mancanza di meglio, misi della sabbia dentro agli stivali, e sparsi briciole di pan secco nel letto, cose che certamente mi tormentavano. Alla fine credendomi abbastanza provato, manifestai a mia madre la ferma risoluzione di consacrarmi a Dio e di prendere il più presto possibile l'abito dei Cappuccini.
Mi aspettavo una scena di grida e di lacrime, ed avevo eccitata la mia immaginazione con l'idea della costanza d'animo necessaria a vincere l'opposizione di una madre che adoravo. Nulla di tutto questo. Mia madre non si mostrò per nulla colpita da tale confidenza, o, se fu, seppe molto ben nascondersi. Mi disse soltanto che, in faccenda così grave, bisognava andare col pie' di piombo, e che sarebbe stato bene sentire il parere dello zio Giovanni. Io consentii volentieri. Ora avvenne che, per l'appunto quella mattina stessa, mia madre casualmente incontrasse per istrada lo zio Giovanni, il quale, avendo saputo da lei, che io desideravo consultarlo in un affare di qualche importanza, m'invitò subito a pranzo il giorno dopo alle due precise, se però mio padre fosse stato contento, come fortunatamente fu.
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