Dopo si discorreva sulle cose lette, immedesimandoci coi caratteri descritti, e vivendo così in un mondo immaginario. I nostri disegni pel futuro erano conformi alle letture. Qualche volta Cesare avrebbe voluto essere un generale d'esercito ed avere per suoi aiutanti di campo Alfredo e me: qualche altra aveva la fantasia del mare, ed avrebbe voluto essere il capitano di un gran vascello, e che io fossi il chirurgo. Ma siccome non ebbi mai la passione di amputar gambe e braccia di viventi, così cedevo tale ufficio ad Alfredo e mi contentavo del grado di luogotenente. Si doveva fare il giro del mondo. Era sempre la Cina e il Giappone, eccettuato il martirio, di cui avevo deposto il pensiero. La madre doveva venir con noi. In ogni nostro sogno fatto ad occhi aperti, la madre c'entrava sempre.
Le Avventure dell'uomo volante, che allora stavamo leggendo con molto gusto, suggerirono a Cesare la felice idea di costruirci delle ali. "Non riusciremo mai ad adoperarle", gli dissi. "Lo vedremo", mi rispose con un'aria di sapiente. Provvedemmo tutte le cose necessarie a far le ali, come assicelle sottili, cartone, carta d'ogni maniera, spago, chiodi, colla, ecc., ecc.; ma quando ci mettemmo all'opera, la torre di babele non c'era per nulla a confronto della nostra confusione. Ci fu impossibile di andare avanti; ma Cesare, che si era fatto un punto d'onore della riuscita di quella impresa, non voleva abbandonarla. Fortunatamente un fatto impensato gli offrì un pretesto per ritirarsene senza disonore.
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