L'immaginazione di Cesare prese fuoco a quella vista, e disse che le perle non potevano esser sole, e che si doveva continuare a scavare. Chi sapeva mai quante meraviglie ci avrebbero aspettato! E noi scavammo e scavammo finché ci furon pietre, e finalmente arrivammo alla roccia. Se non fosse stata quella maledetta roccia, sicuramente si sarebbero in quello stesso giorno scoperte le sale sotterranee. Discorremmo di mandarla in aria col mezzo della polvere. Appena tornati in città, andammo dal gioielliere della nostra famiglia per fare stimare i nostri tesori. Le perle erano false e costavano forse un soldo l'una. Questa stima raffreddò il nostro entusiasmo; tuttavia tornammo per qualche tempo al bastione, esplorando dappertutto; ma, ohimè!, senza alcun risultato.
Una sera, mentre eravamo sul terrazzo a godere il fresco e il dolce lume della luna, Cesare mi confidò, sotto sigillo di confessione, che qualche volta andava a visitare un suo amico in una casa che io conoscevo bene, di rimpetto alla quale abitava una giovane signora, un vero occhio di sole, secondo le precise parole di lui. Siccome la signora veniva sul terrazzo tutte le sere per innaffiare i fiori, Cesare aveva potuto contemplarla ed ammirarla a tutto suo agio dalla finestra dell'amico; e la conseguenza di quella contemplazione ed ammirazione era stata che si era innamorato di lei. "Se vuoi venire una sera con me", aggiunse, "ti menerò in casa dell'amico, e così potrai vederla e poi dirmi che cosa ne pensi". Io non mi curavo molto di vederla; ma, accortomi che Cesare lo desiderava, consentii di andare.
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