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      Io stetti zitto". A questo punto il segretario si fece a dire: "Mi pare, se ricordo bene, che il signor Alfredo sia stato espulso dal collegio". "Espulso dal collegio?" gridò il Commissario alzandosi; "espulso dal collegio! E tentate di carpirmi la firma, che io, come sapete benissimo, non posso darvi senza mancare ai miei sacrosanti doveri!". "E in questo tono continuò finché ebbe finito, per cui io, colto il momento opportuno, gli feci una riverenza e me ne venni".
      Questa inaspettata catastrofe m'arrivò al cuore. Alla coscienza che il povero Alfredo soffriva questo per cagion mia, s'aggiungeva il timore troppo presto avveratosi che ciò potesse essere il segnale della nostra separazione. Difatti una settimana dopo suo padre lo chiamò a Torino, dove, col mezzo di un potente appoggio, sperava di farlo ammettere all'Università. Ogni via fu tentata; ne fu fatto parlare anche al re ma tutto fu invano. Il padre di Alfredo, la cui più grande ambizione era il titolo di dottore per il figliuolo, alfine lo mandò a Pisa, in Toscana, dove fu ammesso senza difficoltà.
      Col passo pesante e col cuore affannato, andai il giorno dopo alla Segreteria dell'Università per la mia carta di studente, la quale chiamavasi l'Admittatur, e costava mezzo scudo. L'Admittatur era valevole soltanto per tre mesi. "Alla fine del trimestre", disse il Segretario, "restituirete la carta con le firme di tutti i vostri professori, e più un certificato del vostro confessore ed un altro del vostro parroco, i quali attestino che voi avete puntualmente adempiuto i doveri religiosi, e allora si vedrà se potremo darvi la seconda carta".


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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