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      Ho già detto che, al contrario di ciò che si aspettavano i riformatori della pubblica istruzione, il numero dei nomi scritti nei registri non era stato mai così grande come in quell'anno; la qual cosa era cagione a quei grandi uomini di fare alcune profonde riflessioni e di venire alla conclusione che agglomerare in un solo stabilimento alquante centinaia di giovani sarebbe stato né più né meno che mettere lo Stato a due dita dalla rovina. Per allontanare un caso così inquietante, ricorsero a questo espediente. Le lezioni non si daranno più all'Università, ma nelle rispettive case dei professori. Così la temuta agglomerazione non avverrà, e l'Università, aperta di diritto, sarà chiusa di fatto. Questa disposizione era piena per noi di molti inconvenienti.
      Primieramente ci obbligava a trottare da una casa all'altra dei professori, spesso molto lontane fra loro. Inoltre, nessuno di quei signori aveva stanze sufficientemente spaziose per contenere cento e più studenti alla volta; così ci stavamo stipati come gli schiavi in una nave negriera, e costretti i più a stare in piedi. Questa faccenda diveniva insopportabile nella stagione calda. Mi ricordo che la casa d'un professore era così stretta che i più dei suoi uditori erano obbligati a rimaner per le scale.
      Era di rigore che i professori dovessero fare la chiama al principio della lezione e notare gli assenti. Dopo tre mancanze constatate, era proibito al professore di firmare la carta dei refrattari; e questo portava la perdita di tre mesi.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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