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      Alfredo era partito; e Cesare, poveretto, appena lo vedevo a pranzo.
      Attendendo egli al notariato, faceva le pratiche nello studio di un notaro che aveva molta clientela, un uomo libero e interessato, che gli faceva fare una vita da cani, caricandolo di lavoro e trattandolo con modi brutali. Spesso e volentieri l'intera giornata non bastava al lavoro, e Cesare era obbligato a rubare al sonno qualche ora e passar buona parte della notte a copiare carte legali; dimodoché aveva anch'egli le sue tribolazioni, e l'unico nostro sollievo era di sfogarci, di lamentare il nostro destino, e di maledire i nostri oppressori. Il povero Cesare, quando entrava in discorso, spesso si esaltava fino al delirio. Per timore di dormire troppo e arrivare allo studio un po' più tardi del solito, non di rado gli accadeva di levarsi nel cuore della notte e di non tornare più a letto.
      Una delle cose che più mi pesassero, era l'obbligo di confessarmi ogni mese e in un dato giorno. Ora, qualche volta non mi sentivo disposto e alla mia coscienza ripugnava di accostarmi indegnamente al confessionario, per il quale ero stato educato ad avere una profonda riverenza. Per buona sorte incontrai un degno sacerdote, che quietò i miei scrupoli. Era un vecchio che seguiva la dottrina dei Giansenisti. Spessissimo veniva a vedere mia madre, e la conversazione scevra di ogni pregiudizio aveva fatta buona impressione sopra di me. Lo scelsi per confessore e gli svelai tutto me stesso. Il buon uomo rassicurò pienamente la mia coscienza: "Confessatevi," mi disse, "quando vi sentite nella conveniente disposizione.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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