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      Inutilmente gli facemmo osservare che in questo eravamo d'accordo con lui, ma che la questione era un'altra. Non volle ascoltarci, voltò le spalle e se ne andò.
      Il giorno seguente mi fu portata di buon mattino una lettera coll'ordine del Direttore di polizia di presentarmi al suo ufficio alle dodici. Subito corsi a darne notizia a Fantasio, e trovai che egli pure aveva avuto la stessa intimazione, come anche il terzo deputato. Fummo puntuali all'ora. Dopo una lunga anticamera, fummo finalmente introdotti alla presenza del Direttore, il quale cominciò col dirci che, prima di tutto, potevamo ringraziare la sua moderazione, e, dopo il riguardo dovuto alle nostre famiglie, se egli si era indotto a farci venire alla sua presenza, piuttosto che mandarci direttamente in prigione. Dopo un esordio di questa fatta, continuò dicendo che le autorità avevano tutt'altro da fare che ascoltar lagnanze per torti immaginari; che era tempo una volta di finirla con tali assurdità; che gli studenti farebbero meglio a star cheti e tranquilli; che egli intendeva avvertirci ora per sempre, e che potevamo andare per i fatti nostri, e ci additò la porta. "Ma...." cominciò a dire Fantasio. "Zitto!" interruppe il magistrato, "o ch'io..." ed in questo prese il campanello di sulla tavola "vi mando in Torre". Era la prigione di Stato.
      Tale riparazione ottenemmo noi. Ventiquattro anni dopo, quando le cose fortunatamente si cambiarono in meglio in Piemonte, uno dei miei amici, impiegato di polizia, mi fece vedere una nota segreta nei libri d'uffizio con la data del giorno in cui ero comparso dinanzi al Direttore, e che i diceva così: "Lorenzo Benoni, testa calda, di molto talento, romantico, riservato (questa parola era sottolineata) da essere sorvegliato". Suppongo che anche gli altri due miei colleghi in deputazione avessero accanto al proprio nome una piccola chiosa di questo genere.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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