Quest'affare fu cagione della prima scena burrascosa tra mio padre e me. Poche ore dopo la mia chiamata dal Direttore di polizia (e naturalmente ero di cattivo umore) mio padre, che era già informato di tutto (o in un modo o in un altro risapeva sempre quello che facevo), mi domandò improvvisamente se avevo finito di essere la favola della città.
Rimasi sorpreso, e domandai che cosa intendesse dire con quelle parole. Mio padre mi rispose, chiedendomi che interesse avevo io a far la parte di don Chisciotte in un affare che non mi riguardava punto. Risposi che andando a far testimonianza per un compagno offeso e insultato avevo seguito il precetto "Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi" e mi meravigliavo molto che dovessi esserne sgridato. "Sta tanto bene" osservò mio padre "ma in conclusione, l'aver salito le scale della polizia, sarebbe per me una macchia incancellabile e poco adatta a formare la reputazione d'un giovane. Non ci avete pensato?". A tutto questo replicai che se la polizia era dispregevole, peggio per quelli che l'avevano resa tale; che quanto a me, non potevo ragionevolmente esser tenuto a rispondere di cosa fatta a forza, contro la mia volontà e con mio rincrescimento. Nuove risposte tirarono seco nuove; finalmente mio padre m'intimò di tacere. A questa intimazione mi si scaldò il sangue e non potei frenarmi dal dire fra i denti che l'argomento era comodo, ma che io l'avevo sempre creduto riservato all'uso speciale dei direttori di polizia. Mio padre andò sulle furie e fece un passo contro di me con l'intenzione di percuotermi; lo credetti allora, ma non ne sono sicuro: il suo piglio però era minaccioso.
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Direttore Chisciotte
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