. Ne seguì una scena terribile. Mio padre era fuori di sé e Cesare nella massima esasperazione; per cui fummo costretti a levarlo di lì quasi a forza. La sera si lamentò di qualche brivido e andò a letto molto presto. Io notai che le sue guance erano rosse contro il solito e che aveva gli occhi lustri e dilatati fuori di misura. "Oh, se potessi piangere, quale sollievo sarebbe per me!" mi disse più volte.
Mio padre tornò a casa alla solita ora, e la cena era pronta. "Dov'è Cesare, che non lo vedo al suo posto?" domandò a mia madre; la quale gli rispose solamente: "È a letto con la febbre".
È una febbre molto opportunaosservò egli con sarcasmo; "ma se avete a bella posta combinata questa commedia, sappiate che rimarrà senza effetto: io non mi lascerò cogliere a questo laccio". Mia madre non fiatò, ma gli lanciò uno sguardo tale che io non lo dimenticherò fino all'ultimo giorno della mia vita. Egli non lo poté sopportare, ne rimase sopraffatto, e fissò gli occhi al pavimento. La cena passò nel più gran silenzio e dopo mio padre si ritirò senz'altro nella sua camera.
Quando tornammo da Cesare, delirava. "Non potrò sbrigare la copia in questa notte", mi gridò vedendomi entrare; "la mia testa non lo può reggere. Va' a dire al signor Marco che non è possibile". Figuratevi lo spavento di mia madre! Io uscii, è vero, secondo gli ordini di Cesare, ma per cercare il medico di famiglia, che venne meco. Gli ordinò un copioso salasso e in più l'applicazione di ventiquattro mignatte, se due ore dopo il salasso il delirio non fosse cessato.
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