L'ora di pranzo era assai vicina, e io dovevo andare a casa. "Come me la caverò con mio padre?". Questo pensiero, che mi aveva tormentato tutta la mattina, divenne angoscioso all'avvicinarsi del momento della prova. Le gambe mi reggevano appena. "Purché non sappia tutto! Se lo sa, è una faccenda terribile". La mia cura principale mirava ad evitare una di quelle scene spaventose di famiglia, che abbiamo vedute quando Cesare ebbe un dissapore col suo principale. Arrivai a casa molto abbattuto e raccontai il tutto a mia madre ed a Cesare, che fecero il possibile per sollevarmi. Per buona fortuna, mio padre non sapeva ancor nulla, e il desinare passò tranquillamente. Nella stagione del caldo egli soleva ritirarsi dopo pranzo nella sua camera per prendere un po' di riposo. Mi feci coraggio e, non veduto, gli tenni dietro. Quando fu sulla porta gli dissi: "Desidererei di parlare se me lo permette". Egli mi accennò d'entrare.
Il tempo, mi duole il dirlo, non aveva migliorato il suo carattere, almeno in casa. Dico a bella posta in casa, perché sarebbe un errore il credere che fuori avesse il medesimo cipiglio duro e severo che invariabilmente aveva dentro. Anzi, tutt'altro! Egli era invece un buon compagno con tutti, sempre con le barzellette in bocca, e perciò gradito in alto e in basso; cosìcché in tutto quello che trapelava dei nostri dissapori domestici la pubblica opinione stava sempre per lui e contro di noi. "Che peccato!" esclamavano i nostri vicini, "che un uomo così buono e socievole abbia figliuoli così cattivi!
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Cesare Cesare
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