Il giogo che ci grava sul collo è forse meno pesante, meno umiliante di quello che opprimeva i Greci? Vorremo noi portarlo con maggior pazienza? Che ci manca adunque per metterci in condizione di far quello che hanno fatto i Greci? Nulla, se non intenderci tra di noi. Ci manca una Eteria; ecco tutto". Queste ed altre somiglianti idee erano generalmente manifestate in un piccolo cerchio d'intimi amici, di cui Cesare, lo Sforza (il mio antico compagno di scuola), ed io facevamo parte.
L'entusiasmo di Fantasio e la sua ardente passione si comunicarono a noi. Cesare s'accordava con lui in tutto; per lo Sforza, anima focosa e molto eccitabile sotto fredde apparenze, le opinioni di Fantasio avevano il valore di una dimostrazione matematica. Io solo m'arrischiavo di fare qualche obiezione, o mettevo innanzi qualche dubbio. Ma questo era un debole ritegno che l'appassionata parola di Fantasio subito distruggeva. D'allora in poi la politica ebbe tutti i nostri pensieri, e fu il soggetto di tutte le nostre giornaliere conversazioni.
Questa nuova piega non isfuggì all'occhio dello zio Giovanni, innanzi a cui non mi ritenevo di accusare il Governo nel modo il più violento ed egli faceva di tutto per fermarmi in questa via. "Voi vedete le cose", mi diceva qualche volta, "non come sono, ma come la vostra fantasia ve le dipinge. Quasi tutti, ve lo concedo, disprezzano e detestano il Governo, ma non per ciò prospera meno. Esaminate le Società, e poi ditemi dove sono quelle virtù civili e quello spirito d'abnegazione che rigenerano le nazioni.
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